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Ormai sono diversi anni che scrivo pochissimo qui sul blog. Mi dispiace davvero molto e vorrei dire che diventerò più solerte ma... so benis...

venerdì 7 novembre 2014

"Jacques il fatalista" di Denis Diderot - Seconda parte

Oggi sono qui per presentarvi il nono post di La biblioteca dimenticata, rubrica fissa sul mio blog curata da Davide Rigonat, il blogger che gestisce La casa della nebbia.

Nel suo primo post ci ha parlato di Dafni e Cloe di Longo Sofista, un importante romanzo greco, nel secondo ci ha parlato dei libri di Andre Norton al confine tra fantasy e fantascienza.
Poi è stato il turno di due post su Giorgio Saviane e i suoi libri, il secondo dei quali parlava della sua opera Il Papa. Dopo un post su Palomar di Italo Calvino, e uno su Lu Xun, autore di La vera storia di Ah Q, un racconto contenente un’ironica ma forte denuncia sociale, ci ha parlato del romanzo storico Il Conte Lucio di Giuseppe Marcotti.

Il mese scorso ha iniziato a parlarci di Diderot e la sua opera Jacque il fatalista e oggi conclude il discorso, quindi lo ringrazio e gli lascio subito la parola!


Jacques il fatalista di Denis Diderot -  Seconda parte

Il filo conduttore e il tema filosofico
Come accennato, l'asse portante del romanzo è la discussione tra Jacques e il suo padrone in merito all'etica e alla morale deterministica
Come ci viene chiarito già nelle prime righe (che vi ho citato nel post del mese scorso) per Jacques tutto ciò che accade è già predeterminato e immutabile e sta scritto nel cielo. Ecco allora che ci spiega come, se non si fosse arruolato per sbaglio, non sarebbe stato ferito da una pallottola, in conseguenza della qual ventura non avrebbe scoperto l'amore né le disavventure con le altre donne, non avrebbe incontrato il padrone e non sarebbe stato zoppo. Come diceva il suo capitano al tempo in cui aveva prestato servizio militare, ogni palla che parte da un fucile ha il suo indirizzo. Il padrone espone invece delle tesi spesso opposte, così che i due possono discutere esponendo le rispettive posizioni. In questo canovaccio si inseriscono poi gli altri personaggi e le altre storie. Di queste però non voglio svelarvi nulla: se vi ho incuriositi dovrete per forza andare a leggervele. Per i più restii ad affrontare un testo in cui riflessioni filosofiche si intrecciano a brani narrativi, sappiate che il testo è scritto con maestria e leggerezza e che, almeno io, l'ho letto in un baleno!

Lo stile
Analizzare lo stile con cui Diderot ha scritto il suo ultimo romanzo non è cosa facile, anche perché la vasta esplorazione delle varie tecniche letterarie operata in questo libro lo ha portato ad adottarne diverse contemporaneamente. Se infatti gli interventi del narratore e del lettore sono proposti in maniera diretta e quasi sempre senza che ci siano segni o artifici grafici che chiariscano subito chi sta parlando (è il senso di ciò che viene detto che fa risalire a colui che parla, così come potete vedere nell'incipit), quando a prendere la parola sono i protagonisti principali (Jacques e il suo padrone, ma anche l'ostessa e des Arcis) Diderot adotta una forma testuale mutuata direttamente dal dramma e dal teatro. Ogni cambio di interlocutore è preceduta dal nome del personaggio che sta per parlare (un esempio a caso: […] Il padrone: «Mistero o no, che necessità c'è di dirtelo in questo o in un altro momento?» Jacques: «Nessuna». Il padrone: «Ma ti occorre un cavallo». […] - ovviamente con i dovuti a capo), creando così un effetto davvero teatrale. Questo espediente non è però usato sempre. In alcune parti (di solito quelle poste immediatamente dopo un intervento del narratore o dopo una parte descrittiva e comunque in occasione di scambi di battute veloci e dirette) l'autore abbandona questo espediente e torna ad una forma più romanzesca dello scritto. Stesse tecniche adotta per i dialoghi posti nelle storie di secondo e terzo livello (le storie nelle storie e le storie nelle storie nelle storie, per capirci).

Da notare anche che gli interventi dei vari personaggi non sono lineari e non si susseguono con ordine, anzi! Gli interventi del narratore e del lettore sono spesso improvvisi e, in alcuni casi, apparentemente fuori luogo rispetto al filo narrativo. Jacques, poi, crea spesso scompiglio anche tra i suoi compagni di avventure. Egli infatti si lascia spesso prendere dai suoi pensieri che sviluppa silenziosamente nella sua testa. Spesso capita però che egli termini i suoi ragionamenti ad alta voce, con dialoghi che sembrano quindi non avere capo e che poco o nulla c'entrano con i discorsi che stavano tenendo gli altri personaggi, con loro puntuale disagio.

Tutti questi accorgimenti (e molti altri, a dir la verità) non formano però un'accozzaglia indefinita, ma sono usati in maniera consapevole e contribuiscono a creare un'entità che, a modo suo, è perfettamente armonica e bilanciata.

E per concludere…
Giunti alla fine di questo papiro che avrebbe dovuto essere una chiacchierata di poche righe e si è poi esteso a ben due post, non posso che ribadire il consiglio di leggere questo libro interessante, diverso e molto, ma molto intelligente.

 Buona lettura e alla prossima!


Ancora un grande grazie a Davide e al prossimo appuntamento con libri tutti da scoprire e riscoprire!




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