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Ormai sono diversi anni che scrivo pochissimo qui sul blog. Mi dispiace davvero molto e vorrei dire che diventerò più solerte ma... so benis...

martedì 9 febbraio 2016

"Ernesto" di Umberto Saba: la storia di Ernesto o di Umberto Saba?

 Oggi sono qui per presentarvi un nuovo post di La biblioteca dimenticata, rubrica fissa sul mio blog curata da Davide Rigonat, il blogger che gestisce La casa della nebbia e l'autore di La nebbia e altri racconti.


Oggi ci parlerà di Ernesto di Umberto Saba.

Lo ringrazio e gli lascio subito la parola così che possa raccontarci qualcosa di questo libro!

Ernesto di Umberto Saba

Cari amici,
in questo nuovo appuntamento con La Biblioteca Dimenticata ho pensato di parlarvi di un romanzo il cui autore è (o dovrebbe essere) noto a tutti in veste di poeta, forse meno in veste di narratore: faremo quindi due chiacchiere su Ernesto, dell’italianissimo Umberto Saba.


L'autore
Sull’autore solo pochi cenni, anche perché più o meno tutti dovremmo averlo studiato a scuola.
Umberto Poli (vero nome di Saba) nacque a Trieste il 9 marzo 1883. A seguito dell’abbandono della famiglia da parte del padre, avvenuta ancora prima della sua nascita, Saba crebbe in una famiglia matriarcale, le cui figure principali furono la madre, appartenente alla minoranza ebrea e fortemente conservatrice e legata agli ambienti dei piccoli commercianti, la zia ricca con la quale vivevano e che di fatto li manteneva e Giuseppina (Peppa) Sabaz, la balia slovena e cattolica a cui fu affidato fino ai tre anni. Scelse lo pseudonimo di Saba (pane, in ebraico) per non dover usare il cognome del padre. Studiò dapprima al Ginnasio, che lasciò in quarta classe in seguito ad una bocciatura in greco. Frequentò poi per qualche mese l'Imperial Regia Accademia di Commercio e Nautica, dopo di ché (e dopo una breve parentesi come mozzo su di una nave commerciale) finì, per volontà e intercessione della madre, apprendista impiegato in una società commerciale triestina. Ai nostri fini vale ricordare che Saba studiò per un certo periodo anche il violino e scrisse vari articoli per un giornale locale di tendenze socialiste, Il Lavoratore.
Capirete fra poco perché ho scelto di essere più preciso riguardo agli avvenimenti collegati ai primi vent’anni della vita del poeta, mentre andrò molto più veloce su quasi tutti i fatti successivi.
Saba frequentò brevemente l’università di Pisa e poi quella di Firenze, prima di partire militare per Salerno (pur essendo nato a Trieste, allora sotto l’Impero Austro-Ungarico, aveva la cittadinanza italiana). In questo periodo scrisse le sue prime poesie e si sposò con l Carolina Woelfler, la Lina dei suoi poemi. Di parte interventista, durante la prima guerra mondiale fu richiamato alle armi, senza però andare mai al fronte. 
Negli stessi anni cominciarono ad acuirsi i problemi di nevrastenia che lo porteranno ad avvicinarsi alla psicologia e a sottoporsi alle cure di vari specialisti, tra cui il dott. Weiss, discepolo di Freud e medico di Italo Svevo. Tornato a Trieste, grazie all’aiuto economico della zia, comprò una piccola libreria antiquaria, la Libreria Antica e Moderna (esistente ancora adesso), che tanta parte ebbe a favorire la stesura di molte delle poesia di Saba. In occasione dell’emanazione delle leggi razziali e della seconda guerra mondiale, Saba dovette lasciare la città e la libreria, ceduta al fedele commesso Carlo Cerne. Terminata la guerra rientrò in città, ormai malato e stanco. Cominciarono allora a fioccare i riconoscimenti e i premi per la sua opera poetica (di cui non ho parlato volutamente), tanto che ricevette anche una laurea honoris causa. Nello stesso periodo si convertì al cattolicesimo e si fece battezzare. L’aggravarsi della sua condizione nervosa lo porterà infine a ricoverarsi in una casa di cura di Gorizia, da cui uscirà solo in occasione del funerale della moglie ed in cui morirà il 25 agosto 1957.

L'opera
Passiamo adesso al nostro caro Ernesto: scritto nel 1953 durante una pausa dalle crisi nervose che affliggevano Saba, si sviluppa in cinque episodi e una quasi conclusione (posta tra il quarto e il quinto episodio) - oltre ad una lettera indirizzata dal protagonista a Tullio Mogno (un professore in contatto epistolare con Saba) aggiunta in appendice nell’edizione del 1995 -, fu pubblicato postumo solo nel 1975. Esso fu lasciato (volutamente?) incompleto e ci narra le esperienze che il protagonista sedicenne ebbe a sperimentare nel corso di poco più di un mese del 1898, a Trieste.
Della trama cercherò di raccontarvi il meno possibile, limitandomi a elencarvi gli episodi principali:
  • il primo episodio ci presenta la scoperta, da parte di Ernesto, dell’amore omosessuale per il tramite di un lavoratore avventizio della società in cui lavora e del quale non viene mai nominato il nome;
  • nel secondo si parla invece della malattia del protagonista e della sua decisione di interrompere i rapporti con l’uomo;
  • nel terzo si affronta l’uscita dall’adolescenza di Ernesto simboleggiata dal taglio a tradimento della barba da parte del suo barbiere e della scoperta dell’amore eterosessuale;
  • nel quarto ci viene meglio descritto l’ambiente storico-sociale in cui si svolgono le vicende e vengono approfondite varie tematiche relative all’animo di Ernesto, prima solo accennate o suggerite, fino alla salvifica confessione alla madre che, inaspettatamente, capisce e perdona il figlio;
  • nella quasi  conclusione il poeta fa il punto della situazione (potremmo dire) e ci avverte che il romanzo probabilmente non avrà seguito;
  • nel quinto e ultimo episodio troviamo Ernesto al concerto di un noto violinista, durante il quale incontra Emilio, detto Ilio, un ragazzo dal quale si sente esteticamente attratto e con il quale intesserà un forte rapporto di amicizia: quasi una rappresentazione allegorica dell’iniziazione estetica e poetica del protagonista e dell’autore.

Sulla lettera finale, una sorta di rivisitazione consapevole dell’intera storia scritta da Ernesto stesso, non vi dico volutamente niente, anche perché è davvero interessante leggere come Ernesto analizzi e parli del testo di Saba.
Per la stesura di questo romanzo Saba decise di attingere a piene mani alla sua esperienza personale e alle dinamiche psicologiche che lui stesso aveva sperimentato:
  • il padre di Ernesto che aveva divorziato dalla madre prima della sua nascita;
  • la madre segretamente affettuosa ma severa e distante,
  • la zia ricca,
  • la balia,
  • il Ginnasio,
  • la scuola Commerciale,
  • il lavoro di impiegato in un’impresa commerciale cittadina,
  • le tendenze socialiste,
  • Il Lavoratore,
  • lo studio del violino,
  • i sogni,
  • la Trieste di fine secolo, 
  • ...
In un certo senso, gli è bastato aggiungerci pochi episodi originali per riuscire a creare un’opera originale e di grande impatto.

I personaggi di Saba, spesso resi con pochi tratti fisici, sono sempre ben definiti dal punto di vista psicologico, anche se a volte l’autore riesce a mostrare senza dire esplicitamente, lasciando cioè lavorare la mente e l’immaginazione del lettore (e in questo è, a mio avviso, molto bravo). L’autore ci dipinge situazioni senza tempo, ma immerse nella peculiare cornice della Trieste di fine secolo, così piena di colori e di elementi irripetibili, in quel caleidoscopio di razze, etnie e religioni che caratterizzano la città friulana dall’epoca del suo sviluppo sotto il regno di Maria Teresa d’Austria. Incontriamo così Ernesto, l’uomo, la Tanda, la signora Celestina (la madre di Ernesto) e così via: ognun con le sue particolarità e il suo vissuto. E come dimenticare, ad esempio, il signor Wilder, il burbero titolare della ditta dov’è impiegato Ernesto, ebreo ungherese dall’italiano impacciato e innamorato della Cermania che finirà, ottantenne, in un forno crematorio in quanto pericolosa minaccia alla gloria del Terzo Reich?

Dal punto di vista linguistico, Saba decide di affiancare all’italiano, usato nelle parti narrative, il dialetto triestino, utilizzato da molti personaggi nei dialoghi diretti. Quello usato è però un dialetto semplificato nella forma e nell’ortografia, tanto che a fianco delle parole più lontane dal corrispondente italiano l’autore riporta tra parentesi la loro traduzione. È questa una scelta ben precisa, voluta dall’autore per rendere universalmente comprensibile il racconto pur senza rinunciare al colore della sua città. Una scelta ben diversa, quindi, da quella operata ad esempio da Gadda che, per rendere ancora più veri i propri personaggi e le proprie storie le infarciva di espressioni tipiche dei dialetti più stretti. Le parole scelte sono sempre semplici e dirette; le frasi prive di orpelli così come le sue poesie. Saba inserisce poi nel testo numerosi suoi interventi, quasi un commento e un compendio al testo a uso del lettore: chiarimenti, confronti con il futuro (della storia) o con il (suo) presente, informazioni sul destino di questo o quel personaggio, considerazioni psicologiche, ecc. Il tutto in un connubio originale e mai stancante o banale.

Forte delle sue nevrosi e dell’esperienza psicoanalitica accumulata, Saba intesse un racconto all’apparenza facile, in cui all’apparenza Ernesto compie scelte anche importanti sull’onda del momento o di qualche emozione momentanea, ma che in realtà si fonda su profondi processi psicologici che, generati da traumi del passato e del presente, si sono annidati nell’animo del giovane e sono in continuo lavorio. Con il suo stile semplice e lineare, Saba ci lascia dapprima solo intuire le cause di tali scelte mediante accenni sparsi nel testo, fino a elencarceli parzialmente negli episodi finali in alcune delle sue incursioni nel tessuto narrativo. La curiosità adolescenziale, la mancanza del padre, il bisogno di essere amato, il rapporto difficile con la madre, e così via sono i fantasmi che scavano nell’animo del giovane Ernesto/Saba e lo portano a determinati comportamenti nei confronti della madre, del datore di lavoro, del mondo che lo circonda.

In conclusione (che, mi sa, anche questa volta mi sono dilungato ben oltre il limite che mi ero mentalmente imposto), non posso che consigliarvi questo testo magari poco noto ma molto interessante, che ci permette di apprezzare la prosa vista dagli occhi di un poeta di prima grandezza nel panorama del secolo scorso.

Buona lettura e… alla prossima!


Io non ricordavo proprio che Saba avesse scritto anche narrativa! E tutto quello che ha raccontato Davide mi ha incuriosita parecchio. Voi che ne dite?

Vi ricordo che quasi tutti post precedenti di questa rubrica sono finiti in un bellissimo ebook che potete scaricare gratuitamente da varie piattaforme (al link maggiori informazioni).
Oppure li potete trovare sul blog, cliccando sulla rubrica La biblioteca dimenticata - rubrica di Davide Rigonat, dove trovate anche quelli non inclusi nell'ebook (perché usciti successivamente):


Ancora un grande grazie a Davide per i suoi bellissimi contributi! Vi aspettiamo per il prossimo appuntamento con questa rubrica tra un mese esatto!



Note: La foto usata come sfondo del banner è da attribuire a Luciano Caputo (vedi CC nel link).









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