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Ormai sono diversi anni che scrivo pochissimo qui sul blog. Mi dispiace davvero molto e vorrei dire che diventerò più solerte ma... so benis...

venerdì 30 marzo 2012

Luigi Pirandello e "Il fu Mattia Pascal"

Pirandello e “Il fu Mattia Pascal”: la maschera e la fuga.
In questa rubrica per ora vi ho parlato di autori che si sono occupati anche o soprattutto di fiabe, ma questo spazio non è dedicato solo a questo! Voglio parlarvi di grandi autori e in un certo senso dei miei grandi maestri. Maestri di vita e di scrittura tra i quali figura anche Luigi Pirandello, l’autore di cui mi occuperò oggi.
È un autore importante per me, per le sue tematiche, per il suo stile.
Ho partecipato anche a un concorso sul blog di Ferruccio in cui bisognava dedicare un racconto brevissimo a un autore e la mia scelta è caduta proprio su questo scrittore.
Pirandello ha affrontato molti temi interessanti, tra i quali: la follia (che aveva visto accudendo la moglie affetta da malattia mentale), la maschera, la fuga, la disperazione dell’uomo che perde la sua identità.

Il suo capolavoro, a mio avviso, è Il fu Mattia Pascal. Può sembrare una storia assurda, inverosimile, ma è davvero così? Che cosa faremmo noi se avessimo la possibilità di ricrearci una vita perché ritenuti da tutti morti? Si può davvero ricominciare e cessare di essere quello che si era prima? Tra le pagine di questo romanzo non dovete cercare risposte ma domande e forse la sensazione che non tutto è come sembra e che anche l’apparente libertà può essere una prigione. In questo post analizzeremo alcuni temi tipici di Pirandello, focalizzandoci soprattutto su questo testo, anche se ne ho letti molti che meriterebbero attenzione.

L’identità e il nome
Una delle poche cose, anzi forse la sola ch’io sapessi di certo era questa: mi chiamavo Mattia Pascal. E me ne approfittavo. […]
-          Io mi chiamo Mattia Pascal
-          Grazie, caro. Questo lo so.
-          E ti par  poco?
Non pareva molto, per dir la verità neanche a me. Ma ignoravo allora che cosa volesse dire il non sapere neppure questo. [Testo tratto da Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello, edito da Newton & Compton Editori, p. 33]
L’incipit di questo libro, che vi ho citato qui, ci mette subito davanti alla crisi dell’identità. Il nome è una cosa banale eppure è un diritto garantito anche dalla legge! Il nome racconta la nostra identità e cosa succede se dobbiamo lasciarcelo alle spalle e cambiare tutto? Questo è quello che prova Mattia Pascal quando diventa Adriano Meis. Il nome è una parte intima di noi, è qualcosa che ci distingue e ci fa entrare in relazione con altri. È una cosa personalissima ma allo stesso tempo esiste solo in funzione delle interazioni (se non parlassimo con nessuno non avremmo bisogno di poter essere chiamati per nome).

Attori e maschere
Goffman (un sociologo) sostiene che la vita è come un teatro e ogni essere umano è un attore ma interpreta tanti ruoli.
Anche Pirandello usa la metafora del teatro e parla di maschere, tuttavia per lui è da mettere in discussione anche l’unità stessa dell’attore che viene visto da altri in mille modi diversi.
Vitangelo Moscarda (protagonista di un altro capolavoro di Pirandello, Uno, nessuno e centomila) entra in crisi quando scopre che gli altri lo vedono in modo diverso da come lui si percepisce. Come in una galleria di specchi la sua immagine si trova frammentata, impossibilitata a rimanere unitaria. La risposta di Pirandello sembra drammatica in ogni caso: non si può essere unitari, non si può accettare di essere diversi da come ci vediamo, si finisce con l’essere nessuno e ciò non può che farci impazzire. Possiamo indossare tante maschere, ma riveleremo mai noi stessi?
Anche Mattia Pascal si trova ingabbiato in un’identità imposta (dalla moglie, dalla suocera, dalla società, …) e fugge per liberarsi di una maschera, ma nella società non si può vivere senza maschere e presto è tempo di crearne un’altra, di invischiarsi in una nuova, in nuove imposizioni, in nuove prigioni. Mattia, incapace di trovare un suo posto, racconta la sua storia in attesa della sua terza e definitiva morte, come se solo questa potesse levargli anche l’ultima maschera.
 Ma allora qual è la soluzione? Rassegnarsi a essere ipocrite maschere dietro a falsi sorrisi? Non saltiamo a facili conclusioni. Leggete il libro e ognuno di voi troverà le sue suggestioni: come ogni capolavoro questo libro sa parlare a tutti e a ciascuno.

Scappare da se stessi
Mattia Pascal fugge dalla sua vita, ma non può scappare da se stesso e così vive due mezze vite, senza una vera identità. Vive una nuova vita, ma la sua esistenza giuridica è legata a quella precedente e per il diritto e i suoi cari lui è morto. Quante volte anche noi ci siamo sentiti lontani da noi stessi, quasi in un’altra vita eppure imprigionati alla nostra vecchia realtà? La fuga non è mai una soluzione, i problemi ci aspetteranno al nostro ritorno e prima o poi vorremo tornare e potremmo scoprire la cosa peggiore: il mondo è andato avanti senza di noi, altri hanno occupato il nostro posto e di noi non resta che un nome dimenticato e che non ci appartiene nemmeno più. 
La vera grande verità è che non si può fuggire da se stessi.

Conclusioni
Qualche anno fa ho regato Il fu Mattia Pascal a un’amica e  su un segnalibro ho scritto una sorta di aforisma:
Non importa quante maschere sei disposto a indossare, non potrai mai nasconderti dal tuo vero io. Potrai ingannare gli altri, ma il tuo dolore non se ne andrà, per quanto tu possa fingere di essere in pace con te stesso, fino a che non lo sarai davvero. E non sarai mai in pace con te stesso fino a che continuerai a nasconderti.
Questo è quello che a me ha insegnato questo libro, ma c’è davvero molto di più a voler leggere tra le righe. E voi? Conoscete questo libro di Pirandello? A voi cosa ha lasciato? Ne avete letti altri? Io sì, ma questo resta il mio preferito! In ogni caso ora tocca voi!


Hanno parlato di questo articolo:




11 commenti:

  1. Ricordo un racconto giovanile di Pirandello : "Ciaula sopre la Luna", scritto ancora sotto influenze "Verghiane", ma il più bello rimane sempre "Uno, nessuno e centomila".
    la morale di quest'ultimo libro?
    Non importa quello che siamo, ma l'immagine di noi che ne hanno gli altri.
    Ciao.

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    1. "Ciaula scopre la luna" piace molto anche a me!

      Siamo davvero sicuri che ciò che gli altri pensano di noi sia più immortante del nostro stesso giudizio? Forse, per delle persone con scarsa autostima come noi due, ci sarebbe anche da guadagnare, ma gli effetti della visione altrui del proprio io e la frammentazione della propria essenza non hanno esiti particolarmente incoraggianti nel libro "Uno, nessuno e centomila"!
      L'ideale sarebbe riuscire a restare noi stessi indipendentemente dallo sguardo degli altri, ma chissà se è davvero pienamente possibile? Dopotutto "nessun uomo è un'isola", ma questo è un altro autore e un'altra storia!
      Grazie per il commento. A presto.

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    2. Come molti della mia generazione ho "incontrato" Pirandello da studente, e proprio sotto forma di "Fu Mattia Pascal". Ricordo poco a dire il vero, se non le linee generali. Ma mi piacque, questo lo rammento con certezza. Forse è giunto il momento di riscoprirlo.

      A proposito di "uno, nessuno, centomila" invece, da buon costruttivista non credo che si possa trovare un confine netto fra noi e gli altri. Noi siamo osservatori di noi stessi quanto lo sono gli altri e pertanto ritengo che esistiamo in queste molteplici forme, che, purtuttavia, altro non sono che illusioni che celano una realtà immutabile difficilmente raggiungibile.

      Sotto un aspetto induista, che poi non si discosta in modo così netto dal costruttivismo, leggo "uno, nessuno e centomila" in un altro modo invece: siamo Uno, cioè unità, un grande organismo collegato; Nessuno, in quanto non abbiamo identità, proprio per lo stesso motivo di cui sopra; Centomila, in quanto assumiamo nel corso dell'esistenza dell'universo una moltitudine di forme differenti.

      Concludo sottolineando, quasi a livello di curiosità, e tenendo conto della passione di Romina per la matematica, la singolare simiglianza tra il suddetto "principio" e il numero di soluzioni di un sistema lineare di equazioni, ovverosia "una, nessuna o infinite".

      Saluti!

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    3. Anch'io ho scoperto Pirandello a scuola, ma la maggior parte dei suoi libri li ho letti senza un'imposizione e, anche quelli che ho letto per "obbligo", li ho sempre amati!

      Davvero interessante la tua interpretazione su "Uno, nessuno e centomila" sia in ottica costruttivista sia induista.

      L'applicazione matematica mi ha davvero incuriosita... tuttavia lo applicherei alle equazioni lineari e non ai sistemi. In genere i sistemi hanno minimo due incognite quindi ci sono due soluzioni (o una coppia di soluzioni)oppure nessuna o in rari casi infinite, però con le equazioni si potrebbe fare un bel post! Che ne dici? Se preferisci anche sui sistemi... ti ospito volentieri, se ti va di lanciarti nell'impresa. Fammi sapere, altrimenti organizzo qualcosa io! Grazie mille!

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    4. In realtà parlavo proprio di sistemi lineari (cioè sistemi in cui le equazioni sono lineari): solo in questi si possono avere soltanto una OPPURE nessuna OPPURE infinite soluzioni (determinato, impossibile, indeterminato).

      Ad ogni modo il numero di incognite di un sistema generico non è direttamente legato al numero di soluzioni che può avere. Le soluzioni di un sistema sono insiemi, il cui numero di elementi è pari al numero di incognite. Per fare un esempio semplice: se in un sistema ho x,y,z come incognite, ogni eventuale soluzione sarà del tipo S={x=a,y=b,z=c}. Non è una tripletta di soluzioni, ma una soluzione soltanto.

      Vabbè, spero di non aver detto troppe castronerie: sono molto stanco e ciò nonostante ho deciso di imbarcarmi in una discussione del genere... mea culpa.

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    5. Sì, hai ragione. Io intendevo che il risultato di un sistema non può essere un numero, ma se il sistema è lineare in genere (non sempre) è una coppia di numeri, che è esattamente il discorso che hai fatto tu con un sistema in tre incognite. Mi sono espressa male e ho dato vita al caos. Mi sembra che tu ora abbia chiarito la questione. In ogni caso io intendevo la stessa cosa, solo che tu l'hai detta in modo comprensibile! Grazie! Direi che è davvero troppo tardi per discussioni del genere... torno ai miei appunti di sociologia! Ne riparlermo!

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  2. Non credo di aver mai letto "La veste lunga"... dovrò rimediare! Studiare a fondo un autore è importante, hai ragione, a volte si scopre che, dietro a ciò che sembra scontato, c'è una grande ricerca. Non si finisce mai di imparare sia come scrittori sia come lettori! E per fortuna!

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  3. Ciaula e' bellissimo, ho anche pianto! Noi alle superiori avevamo messo in scena "cosi e' (se vi pare)" .... Un capolavoro!

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    1. Chissà che bello spettacolo! Piacerebbe molto anche a me fare cose del genere, ma mi frenano il poco tempo e la scarsa memoria (non ho problemi a ricordare tantissime informazioni, ma non studio mai a memoria, è più forte di me!). E così hai partecipato a uno spettacolo firmato Pirandello! Beh, congratulazioni! Sicuramente sarà stata una bellissima esperienza! Grazie per il commento!

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  4. In realtà è stata una lettura in classe in cui ci si muoveva, io ero la Signora Frola, la protagonista... mi aveva affascinato molto l'idea del giudizio altrui, come ci vedono, chi siamo veramente, il "Sono come tu mi vuoi"... Per questo la storia che sto scrivendo parte dall'idea del come ci vedono gli altri. E noi quanto cavalchiamo l'idea che hanno di noi?
    Spesso più del dovuto, a parer mio...

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    1. Il giudizio degli altri è una tematica molto interessante anche per me! Tienimi informata sull'evolversi della tua storia e spero che un giorno la potrò leggere! Mi hai incuriosita...
      Anche secondo me il giudizio degli altri ci influenza troppo.

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